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La fame durante il fascismo: ne parliamo con Alberto Grandi, autore insieme a Daniele Soffiati del podcast “DOI – Denominazione di Origine Inventata” e del libro “La cucina italiana non esiste” (Mondadori). L’intervista di Francesca Travaglini.
D: Diamo intanto il ben ritrovato al professor Alberto Grandi insieme a Daniele Soffiati a questo podcast seguitissimo che è DOI denominazione d’origine inventata, ciao ben ritrovato.
R: Ciao grazie buona giornata.
D: Nonostante insomma sia il 25 aprile tu sia un nemico dichiarato della patria, no scherzo, però ecco la vostra mania di sfatare le bugie a falsi miti della cucina italiana a volte vi procura delle antipatie ma non sono assolutamente meritate, perché voi esaltate in realtà la qualità della cucina italiana semplicemente dite è molto più giovane di quello che si pensi.
R: Esatto io dico sempre, io sono come Jessica Rabbit mi disegnano cattivo mentre sono buono.
D: Ok allora visto che insomma è la giornata della Liberazione commentiamo insieme lo slogan,diciamo, del regime fascista che per imporre restrizioni alimentari sempre più drammatiche recitava se tu mangi troppo derubi la patria quindi non è che si mangiasse così bene.
R: Eh no esattamente questo è il problema e ovviamente la retorica del regime spingeva sulla frugalità, come valore per gli italiani ma ovviamente era un valore nel senso che mancava il cibo e quindi il consumo eccessivo di cibo veniva visto come un atteggiamento antipatriota, ma il problema è che non ce n’era, cioè è inutile che si girasse intorno e quindi la retorica ribaltava in senso positivo questo elemento appunto di povertà perché poi questa soprattutto dopo sanzioni economiche, dopo nel periodo dell’autarchia, per non parlare durante la guerra quando addirittura l’apporto calorico procapite crollò in maniera veramente al di sotto della sussistenza perché le statistiche parlano di 1600-1800 calorie al giorno a testa quindi siamo assolutamente al di sotto della sopravvivenza.
D: Si mangiava poco, si mangiava male e spesso subentravano anche delle patologie legate proprio al alimentarsi così male.
R: Ah certo ovviamente questo riguarda tutta la prima parte del secolo ancora di più ovviamente nel 19 secolo tutte le malattie di carenza che erano tipiche soprattutto delle aree rurali non tanto delle aree urbane, però ad esempio la pellagra che come dire imperversava nelle campagne dell’Italia settentrionale in particolare nel Veneto, ma il tracoma, il rachitismo erano tutte malattie da carenza legate appunto a un’alimentazione scarsa e insufficiente e soprattutto non variata, perché questo era il problema che era monotono, mangiavano sempre le stesse cose.
D: Beh possiamo dire allora che con la liberazione dal regime nazifascista ci siamo anche liberati dalla fame, adesso passiamo al vostro ultimo libro, Edito da Mondadori, vostro nel senso di Alberto Grandi e Daniele Soffiati che è “La cucina italiana non esiste”, quali sono i falsi miti più assurdi che avete sfatato cioè quelli che in generale tutti no credevamo dati per assodati.
R: Ma guarda alla fine quello che emerge e che abbiamo abbiamo cercato di far emergere nel libro in maniera abbastanza forte è che tutta la nostra cucina che oggi noi non non mettiamo in discussione come qualità, come anche reputazione internazionale è figlia soprattutto della grande emigrazione, cioè gran parte di quei prodotti che noi oggi diamo per scontati, in realtà fino alla grande migrazione italiana in America del nord e sud America erano non del tutto sconosciuti ma di sicuro non di largo consumo, pensiamo alla pasta prima, fra tutto i napoletani erano mangia maccheroni ma il resto degli italiani no, e quindi gli italiani scoprono la pasta in America, la salsa di pomodoro quello addirittura abbiamo dedicato un capitolo dicendo che il pomodoro è due volte americano perché arriva come prodotto, ci arriva dall’America e la salsa di pomodoro gli italiani la scoprono in America, perché là era già industrializzata qua invece arriverà solo dopo, quindi anche questi sono tutti prodotti che sono alla base della nostra cucina e della nostra identità e sono frutto soprattutto della grande migrazione non solo quelle in America, ma soprattutto quelle in America.
D: Quindi sì i prodotti italiani sono buoni spesso anche tra i migliori al mondo, ma non è vero che abbiano queste origini leggendarie quindi non abbiamo bisogno di fondare per forza l’origine chissà quando nel Neolitico.
R: Abbiamo dedicato un capitolo a Caterina de Medici perché la leggenda vuole che Caterina de Medici abbia portato tutto in Francia, i presidenti francesi diciamo mangiavano i sassi prima che arrivasse Caterina de Medici e non è vero, non c’è nessuna evidenza documentale nessun documento che mostri questa cosa, addirittura sappiamo che neanche un cuoco, neanche un lavapiatti, ha seguito Caterina de Medici, quindi molti italiani l’hanno seguita ,ma nessuno che si occupasse della cucina quindi non ha portato niente in Francia.
D: Ma neanche la forchetta?
R: Ecco questa è un’altra di quelle di quelle storie, eh no probabilmente no neanche la forchetta fra l’altro una cosa sappiamo, che Caterina de Medici quando passò dal vivere in Toscana a vivere in Francia è ingrassata, quindi apprezzava molto la cucina francese e non tanto quella italiana.
D: E allora tanto perché sta emergendo una figura del professor Alberto Grandi chiudiamo questa intervista con una domanda, panna nella carbonara sì o no?
R: E ovviamente Sì nel senso ognuno faccia quello che vuole questa è la regola io dico sempre, che l’unica cosa che vale per la carbonara è che non ci sono regole perché l’hanno fatta in tutti i modi possibili negli ultimi 50-60 anni la panna addirittura, Gualtiero Marchesi ci mette più panna che uova quindi assolutamente sì Io sono dell’ idea che non esista la carbonara sbagliata.
D: Leggete i libri di Daniele Soffiati in questo caso e Alberto Grandi ma ascoltate anche DOI il podcast denominazione d’origine inventata.